Flessibilità questa sconosciuta. Il mito del professionista incollato alla scrivania dello studio legale è duro a morire. E per le donne, insieme a fattori di natura culturale e a un’arretratezza ge- nerale dei servizi di cura, è uno dei tanti macigni frapposti tra il primo incarico da tirocinanti e la nomina a managing partner. È su questo fronte che sei tra le avvocate al top nelle law firm più importanti d’Italia interpellate dal Sole 24 Ore sono praticamente unanimi: scalare i gradini della carriera non è facile in generale, ma per le donne è ancora una partita giocata ad armi impari. Pesano, più di ogni altra cosa, i tempi di conciliazione con la vita privata, i carichi familiari, l’idea di una scarsa (o pressoché nulla) condivisione dei lavori di cura.
La grande sfida della diversità e dell’inclusione all’interno degli studi legali si scontra quindi contro un ostacolo anche qualitativo: la debole presenza delle donne nelle posizioni di vertice fa i conti con un tetto di cristallo difficile a scalfirsi, la conciliazione dei tempi di lavoro e vita privata che è ancora appannaggio di poche (e pochi). E con i tanti, troppi, stereotipi culturali che costellano il percorso di carriera delle avvocate.
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